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A - LA CUCINA
Era il locale dove la famiglia consumava e preparava i pasti, si scaldava e riceveva nelle giornate fredde persone amiche per la “vëggia” serale, quando si confrontavano le opinioni sui fatti collettivi, si trasmettevano le conoscenze, si facevano giochi di gruppo e talvolta si pregava. L’ambiente voltato è illuminato da due finestre munite di inferriate e arredato con mobili di legno tradizionali, per lo più fissati a muro: il tavolo ribaltabile ad una gamba (taolët); la vetrinetta a due ante con tendine per l’esposizione delle stoviglie più ricche; il profondo armadio, ricavato nello spessore della parete, con gli arredi correnti. Per riscaldare il locale vi sono la stufa in ghisa (potagé) con la caldaietta in rame per l’acqua calda e il rubinetto di erogazione e il caminetto in pietra; quest’ultimo contiene il paiolo sostenuto dalla catena (chejna dal fornel), che durante il rimestaggio della polenta veniva bloccato dal fermapiede metallico a forma di suola. Sul ripiano in pietra scanalata si appoggiava il secchio dell’acqua (sigèla), prelevata dalla fontana o dal torrente.
B - LA STALLA
In ogni edificio privato dell’Alto Cervo era sempre presente la duplice funzione abitativa e rurale. L’alimentazione a base di latticini e di castagne era fondamentale e pressoché esclusiva in un territorio estremamente povero di risorse. Nelle abitazioni vi era una piccola stalla capace di contenere una, o al massimo due mucche mentre l’ingresso dalla via era comune alle persone e al bestiame. Il locale è di pietra: dalle pareti, alla volta a botte, al pavimento inclinato dalla mangiatoia per il fieno (grëpia) verso la canaletta per la raccolta delle deiezioni degli animali (chintan-a). Il cavalletto (cavalët) a tre gambe a snodo, in frassino, era di aiuto alla donna per il carico e lo scarico della pesante gerla.
C - I MESTIERI DELL'UOMO
Da secoli l’uomo della Valle ha abbinato le due professioni di scalpellino e mastro da muro; sapeva sbozzare e rifinire sulla superficie il blocco di pietra squadrata, che poi apparecchiava nelle murature. Fin dal Cinquecento si è fatto apprezzare per le sue competenze tecniche e capacità manuali ovunque si sia trovato ad operare: dal Duomo di Milano, alla Certosa di Pavia, alle fortificazioni per i Savoia, alle strade di valico del Moncenisio e del Sempione volute da Napoleone I. A dopo l’unità d’Italia risalgono il traforo ferroviario del Fréjus, numerose strade, gallerie e ferrovie in ogni regione italiana, poi altrettante opere edili in Cina, negli Stati Uniti d’America, nell’America del Sud, in Africa, in Russia e in molte Nazioni europee. In questa stanza, già utilizzata come deposito della sabbia e dei vini, sono proposti gli attrezzi del muratore, del falegname e dello scalpellino; il lavoro di quest’ultimo è documentato anche da una serie di fotografie riprese alla cava Quarona di San Paolo Cervo negli anni 1950-1955, dove operava la ditta Vercellotti della Balma.
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